Ci sono coincidenze che sembrano miracolose: pensi a un tuo vecchio amico che non vedi da anni e il giorno dopo ti capita di incontrarlo per strada. Cose così, in cui tutto è casuale ma sembra ben organizzato.
Questo non è uno di quei casi. Se lo fosse avrei potuto dare sfoggio della mia cultura poliedrica durante la visita scolastica a Firenze, non sarei qui a parlarne dopo.
D’accordo, devo spiegare. Nei giorni scorsi siamo stati a Firenze con le seconde (A e B). Tra l’altro abbiamo visitato la basilica di Santa Croce e il Duomo di Firenze. Di ritorno a casa, mi capita tra le mani un saggio di Stephen Jay Gould. Come spesso accade negli scritti del famoso paleontologo, da uno spunto iniziale si parte per lunghe e affascinanti dissertazioni. Io mi fermerò allo spunto iniziale.
Dice Gould che in due chiese di Firenze si trovano due opere d’arte che danno conto di come in un paio di secoli possa cambiare il nostro modo di vedere la realtà.
I lettori più scaltri avranno già intuito che le due chiese sono proprio Santa Croce e il Duomo. Le due opere d’arte sono un dipinto di Domenico di Michelino e la scultura che orna la tomba di Galileo. Il primo, nella navata sinistra del Duomo, non lo abbiamo visto. Davanti alla seconda, nella basilica di Santa Croce, ci siamo soffermati a lungo.
Cominciamo dal primo: un dipinto del ‘400, in cui è rappresentato Dante, alla sua destra le anime dei morti che scendono all’inferno o salgono in purgatorio, alla sua sinistra la città di Firenze. Si potrebbe notare che la grande cupola del Brunelleschi, costruita nel ‘400, è qui dipinta insieme a Dante, morto nel 1321. Quindi le cose non tornano. Ma non siamo interessati a questo. Quel che ci interessa è il cielo: il pittore lo ha dipinto in sette archi di circonferenza. Si tratta della rappresentazione del sistema proposto da Tolomeo: attorno alla Terra orbitano sette “pianeti”, in effetti i cinque pianeti visibili ad occhio nudo (Marte, Giove, Venere, Mercurio e Saturno) più la Luna e il Sole. Nel dipinto si scorge anche una parte del cielo più lontano, quello delle stelle fisse. È una visione geocentrica: la Terra (e l’uomo) è al centro dell’universo e tutto le ruota attorno, in orbite circolari, perfette e ideali
Per secoli questo è stato il nostro modo di guardare l’universo. Qualcuno ha tentato di far notare che le cose potevano essere diverse (vedi Copernico), ma ben pochi erano disposti a crederci. Eravamo troppo intenti a guardare a noi stessi, troppo convinti della nostra importanza nell’ordine delle cose.
Colui che ci ha tirati giù dal piedistallo (o almeno ha iniziato l’opera) è stato Galileo Galilei. Dunque usciamo dal Duomo, facciamo quattro passi ed entriamo in Santa Croce. Qui, addossato alla parete della navata sinistra, troviamo un sarcofago che contiene le spoglie di Galilei. Sopra di esso c’è un busto che ritrae lo scienziato: un Galileo piuttosto giovane, con lo sguardo rivolto al cielo lontano, tiene sotto la mano sinistra una piccola sfera (la Terra) e nella mano destra regge un cannocchiale.
Verrebbe da pensare che Galileo abbia inventato il cannocchiale ma non è così: lo ha “solo” usato per primo come uno strumento scientifico, per poter osservare il cielo non più a occhio nudo. E con le sue osservazioni Galileo comprese e mostrò che Copernico aveva ragione: la Terra non è affatto il centro di tutto, è una piccola palla che gira attorno al Sole. Un pianeta tra gli altri, nel cielo sterminato.
Come si sa, l’idea non piacque molto ai contemporanei di Galileo, tanto che la realizzazione della tomba in Santa Croce non fu concessa fino al 1734, quasi un secolo dopo la morte di Galileo. Ma tutto questo, in fondo, poco importa: con Galileo non solo nacque la scienza moderna, cambiò il nostro modo di pensare l’uomo nell’universo.
Oggi abbiamo strumenti molto più sofisticati di un semplice cannocchiale. Sappiamo molto di più, sappiamo che c’è ancora tanto da scoprire. E più ci guardiamo in giro, più scopriamo che la Terra è ancora meno di una piccola sfera: è un bruscolino minuscolo, lanciato a folle velocità nell’universo.
Per convincersene si può guardare il filmato qui sotto.
Ogni corpo celeste è rappresentato nella giusta scala e alle giuste distanze, secondo i dati del Digital Universe Atlas (Atlante Digitale dell'Universo), curato e aggiornato dagli astrofisici dell'American Museum of Natural History di New York. Si viaggia fino a 13,7 miliardi di anni luce di distanza dalla Terra, cioè la distanza che la luce percorre in quel lasso di tempo. Quindi si vedono immagini (ricostruite al computer, s'intende) che risalgono a quasi 14 miliardi di anni fa, al tempo del Big Bang.
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